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Una giovane donna di chiesa, studentessa diligente, è seduta sul bancone di un five-and-dime di provincia. È da un po' che ha ordinato il suo milkshake, ma pare che dovrà attendere. Doris è nera - come i ragazzi dei fatti di Greensboro - mentre il decennio appena iniziato ha un cartello con su scritto: whites only. Quali pensieri le passano per la testa? E quali opportunità si dischiuderanno per le future generazioni, a partire dalla forza che sarà in grado di dimostrare? Non c'è Storia di un popolo che non viva nei racconti della sua gente. ZZ Packer prova a riscriverla ripercorrendo ogni piccola esperienza, ogni vicolo dietro la strada principale e ogni radice che si dirama da quel fusto. Lì nascono storie per chi ha bisogno di colmare una mancanza: quella di un bluesman senza una gamba e di un'infermiera bigotta che non riesce a toglierselo dalla testa, o quella di una ragazzina in fuga da casa e in cerca di sua madre fra i travestiti di Atlanta. Sono storie aggrovigliate come le immagini che si vedono dai treni in corsa e che proprio in quella matassa, tuttavia, riescono a sigillare un attimo di verità: piccole scout che imparano a odiare, ragazze del college che imparano ad amare, e altre ragazze in esilio che scoprono cosa si può arrivare a fare quando si è affamati per davvero. A una vita di distanza dagli anni '60, e da quella ragazza sul bancone, "Bere caffè da un'altra parte" significa potersi inventare un futuro facendo i conti col passato. Come in un film di Spike Lee: per quanto tu possa essere un ragazzo modello, c'è ancora un padre idealista e galeotto da sfidare sotto canestro.